domenica 30 settembre 2012

Metapolitica: un approfondimento

Nel post Alfa e Omega della Metapolitica del 27 Marzo 2012 abbiamo riportato il concetto di Metapolitica visto da Silvano Panunzio. Esso non appartiene ad una sola scuola di pensiero, ma lo si trova anche nel riflessioni di numerosi pensatori che hanno affrontato il legame tra politica ed etica. Queste sono infatti due entità strettamente connesse.
Nei tempi di decadenza odierni, la politica è stata privata del suo senso trascendente, di quel legame col mondo ideale di cui parla Platone, che successivamente sarà identificato come legame tra umano e divino. La società moderna crede di aver raggiunto il massimo grado di civiltà attraverso la democrazia odierna, arrivando anche ad “esportarla” per mezzo di “missioni umanitarie”, il cui scopo sarebbe quello di civilizzare di un Paese. In realtà, il concetto di democrazia partecipativa risale già all´Atene del V° secolo a.C.: essa è intesa come quella in cui tutti i cittadini, indipendentemente dalla nascita e dal censo, partecipano effettivamente al governo dello Stato.
Nel periodo in cui la civiltà greca si avviava verso la decadenza, Platone esprime sulla “Repubblica” la necessità di restituire la guida della società ai Filosofi e Saggi Iniziati, in quanto essi incarnano il Politico perfetto e sanno cosa sia la Giustizia, applicandola in maniera consapevole.
Aristotele, invece, definisce la politica come legame naturale tra cittadini liberi, con il fine di realizzare il Bene come libertà e autosufficienza degli individui. Egli stesso crea la parola “metafisica”, per definire ciò che trascende la natura.
Tuttavia, l'uccisione di Socrate, Maestro di Platone, simboleggia il rifiuto del pensiero, da parte di una siffatta politica, nata “zoppa” per l’impossibilità (nonostante gli ammonimenti platonici) di trascendere la physis.
La parola “Metapolitica” fu coniata da August Ludwig von Schlözer, appartenente all’Ordine degli Illuminati di Baviera, nel suo trattato Allgemeines Staatsrecht und Staatsverfassungslehre (Göttingen 1793) .
Joseph De Maistre, nel suo saggio sul “Principio Generatore delle Costituzioni“ (S. Pietroburgo, 1809) espresse la sua approvazione per il vocabolo, destinato ad esprimere “la metafisica della politica”.
Jozef Maria Wronski, misconosciuto genio della matematica, nella sua opera Metapolityka (Parigi, 1839) teorizza una “Metapolitica messianica”, unione finale della filosofia e della religione.
Nel 1930, nelle sue “lezioni di dottrina dello Stato”, Sergio Panunzio, filosofo e giurista, padre di Silvano, riesumò il vocabolo, attribuendogli il significato di senso trascendente della storia.
Seguì Benedetto Croce, col già citato In qual senso la libertà sia un concetto metapolitico (in Pagine Sparse, II, Bari 1953).
Non meno importante è l´opera di Manfred Riedel Metaphisik und Metapolitik - Studien in Aristoteles und zur Politischen Sprache der neuzeitlichen philosophie (Frankfurt am Main, 1975), tradotto in italiano sotto il titolo Metafisica e Metapolitica (ed. il Mulino, 1990) .
Silvano Panunzio, nella sua opera principale, Metapolitica – La Roma eterna e la nuova Gerusalemme (ed. Babuino, Roma 1979) non solo rivaluta la dottrina del “fondamento”, ma la supera, collegando tale dottrina al vincolo trascendente dell’escatologia.
Alain De Benoist, principale storico della
Nouvelle droite francese, nel suo Orientations pour des années decisives (Paris, 1982) riparte (pag. 92) da Antonio Gramsci, il quale “ha dimostrato che la conquista del potere politico passa attraverso la conquista del potere culturale”, restringendo la Metapolitica su un piano “nel contempo culturale e teorico” e svincolandola del tutto dall’attività politica (cfr.: la “donna sterile” cui accennava Silvano Panunzio).
Sulle orme dello stesso Panunzio, Primo Siena, scrittore italiano emigrato in Cile, accentua, in numerosi saggi, l’aspetto tradizionalista della
Metapolitica, traducendo le “categorie” del Panunzio in “scienza sacra” (la metafisica), “scienza profana” (la politica) e “ars regia et profetica” (l’escatologia). V. per tutti La metapolitica y el destino superior de nuestra América Románica, in Conferencia en III encuentro ibero americano de metapolitica, Viña del Mar, Agosto 1995, 2.
L’opera di Attilio Meliadò La Comunità dell’irreparabile. Saggio di metapolitica del Terzo (ed. F. Angeli, Milano 2001) distingue la politica (come “Comunità dell’Irreparabile”, caratterizzata dall’immanenza e, aristotelicamente, dall’autosufficienza dei singoli) dalla Metapolitica (come “Terzo” unificante, Teologico ed escatologico, invocato mediante la preghiera).
L’argentino Alberto Buela, nella sua opera principale
Metapolitica y filosofia, Buenos Ayres 2003, torna alla dottrina del “fondamento non politico della politica”, qualificando la Metapolitica come “filosofia e politica al tempo stesso”: filosofia, in quanto comprende le idee e i miti che muovono la storia, politica in quanto getta le basi culturali per soppiantare i governanti, nel senso già sostenuto da Antonio Gramsci.
Infine, va citata l’opera di Carl Schmitt Teologia Politica, nell’edizione argentina (Struhart, Buenos Ayres 1985) citata da Primo Siena; e quella di Giovanni D’Aloe I colori simbolici. Origini di un linguaggio universale (ed. Gabrielli, Verona 2004), che indica nei colori i primi simboli fondanti della struttura sociale (bianco = sacerdozio, rosso = governo, nero = produzione) e, al tempo stesso, della lingua originaria diffusa su tutta la terra.
Alla Metapolitica - simboleggiata dall'Aquila – si contrappone la Criptopolitica – simboleggiata dal Serpente (*) - , la quale comprende al suo estremo inferiore, la criminalità organizzata; al livello intermedio, i servizi segreti di tutti i Paesi; al livello superiore, le consorterie finanziarie di tutti i generi. La Criptopolitica rappresenta dunque quelle forze nascoste, ma organizzate, che non appaiono quasi mai in prima linea; esse tuttavia manovrano gli uomini politici, divenuti ormai dei fantocci ben lontani dal loro compito originale di servire lo Stato e i cittadini.

Nota: buona parte di questo post riprende come fonte un articolo del sito www.metapolitica.net

(*) Secondo la Simbologia tradizionale, ogni simbolo ha una doppia valenza che sia un numero o un animale. Il Serpente simboleggia anche la conoscenza, non solo il male. Il fuoco può rappresentare distruzione e male, ma anche purificazione. Al Serpente, simbolo di saggezza (si pensi ad esempio al Caduceo, il bastone di Esculapio intrecciato da due serpenti, simbolo della medicina), era contrapposto il Drago in certe culture.

martedì 11 settembre 2012

La Formazione del Cavaliere

Requisito fondamentale nella vita di un Cavaliere è la sua Formazione Interiore.

Tra gli insegnamenti che formano i pilastri del Pensiero dei Cavalieri Erranti vi sono anche quelli di uno dei più grandi Maestri che l’Umanità abbia conosciuto, il Filosofo greco Platone.

 
…Si dice lo chiamassero così per l'ampiezza delle sue spalle; si era distinto come soldato ed aveva vinto due volte ai giochi istmici.L’incontro con gli insegnamenti di Socrate trasformò profondamente la sua vita; quando quest’ultimo fu condannato da parte di chi lo riteneva scomodo, il profondo disprezzo che Platone ebbe per la situazione politica di quel tempo lo portò ad abbracciare il principio di Catone, ovvero che la democrazia doveva essere sostituita dal Governo dei più Saggi; da qui in poi il principale obiettivo nella vita del Filosofo fu quello di capire il metodo giusto per trovare uomini saggi e migliori e persuaderli, poi, a reggere un governo.

Così, nell'anno 399 a.C., all’età di 28 anni, spinto da una parte dagli occhi sospettosi dei capi democratici, dopo aver fatto di tutto per salvare la vita al Maestro, e dall’altra dai suoi amici più stretti, Platone partì. Non si sa con certezza dove andò: pare si fosse recato inizialmente in Egitto, dove vi rimase per diversi anni. Gli insegnamenti dei sacerdoti furono per lui una scossa violenta, ma al tempo stesso educativa; il ricordo di quel gruppo di Saggi e Sapienti, che governavano il loro popolo in maniera Teocratica, rimase sempre vivo nello spirito di Platone influenzandone successivamente pensieri e scritti.

Passò poi in Sicilia, dove si unì per qualche tempo alla scuola Pitagorica: anche qui il suo animo fu colpito da un modesto numero di uomini dediti all'insegnamento, i quali vivevano di una vita semplice, nonostante la loro posizione sociale.

Tornò ad Atene dopo dodici anni, nel 387 a.C., dopo aver attinto da ogni fonte di sapere, avvicinandosi ad ogni altare e saggiando ogni credenza, maturo per la conoscenza di tanti popoli e la saggezza di molti paesi. Aveva raggiunto una certa prospettiva di pensiero, per cui ogni verità estrema cominciava ad essere vista semplicemente come una mezza verità. In lui Scienziato, Artista, Filosofo e Poeta vivevano in un'anima sola, ed il dialogo fu il suo modo d'esprimersi, nel quale trovavano posto contemporaneamente bellezza e verità; La Repubblica, il migliore tra i suoi “Dialoghi”, è di per se stesso un intero trattato dove  vi troviamo la sua Metafisica, Etica,  Psicologia, Pedagogia, la sua Politica, la sua visione sull'Arte.

E’ sorprendente come un uomo vissuto quasi 2500 anni fa, in un contesto socio-politico apparentemente diverso dal nostro, tratti argomenti così attuali, centrando appieno caratteristiche e problematiche di una società qualsiasi. Deve far riflettere il fatto che la storia si ripete: è ciclica, non lineare, così come sostengono i libri di storia attuali; e deve anche far riflettere come la natura umana sia sempre la medesima e non si sia evoluta in tutto questo tempo.

E poiché il Cavaliere Errante è un Filosofo Guerriero la cui vita è stata consacrata a migliorare se stesso, giorno dopo giorno, affinché possa essere un uomo giusto e d’esempio per gli altri, sarà doveroso per lui imparare dalla Storia, memoria stessa dell’Umanità, così come doveroso sarà imparare da quei Maestri che l’Umanità ha avuto e che molto spesso non ha riconosciuto. 

 
1) La Formazione Sociale…

"La giustizia sarebbe un problema semplice, se gli uomini fossero semplici; basterebbe un comunismo anarchico".    (Platone – Repubblica)


Perché allora una situazione simile non si realizza? Egli spiega che la causa dipende dalla cupidigia e dal lusso; gli uomini non si accontentano di una vita semplice; sono avidi, ambiziosi, attaccabrighe, e gelosi; si stancano subito di ciò che hanno e mirano a ciò che non hanno; raramente si desidera qualcosa che non sia già posseduta da altri. Ne deriva di conseguenza l'occupazione con la forza di una tribù sul territorio di un'altra, la rivalità tra le diverse tribù per le risorse del suolo, ed infine la guerra. Il commercio e la finanza si potenziano portando con se la divisione di un popolo in classi che di solito sono due, quella dei poveri e quella dei ricchi, eternamente conflitto tra loro.

Nasce una borghesia mercantile, i cui membri cercano di farsi una posizione sociale con l’accumulo di ricchezze ed un enorme consumo: “spenderanno somme ingenti per le loro donne”. Questo squilibrio nella distribuzione delle ricchezze produce mutamenti politici: quando la ricchezza della classe commerciante supera quella dei proprietari terrieri, l'Aristocrazia - ovvero il governo dei Saggi e dei Migliori - cede il posto a una oligarchia plutocratica, il governo dei commercianti, dove saranno, appunto, banchieri e ricchi mercanti a prendere in mano le sorti dello Stato: quella che era la Scienza di governo – ovvero la giusta ed equilibrata coordinazione delle forze sociali per il progresso dello Stato - viene inevitabilmente sostituita dalla lotta politica, cominciano cioè a verificarsi strategie di partito e brama di potere.

Ogni forma di governo tende a morire quando vi è un eccesso del proprio principio fondamentale: l’Aristocrazia si rovina quando viene troppo ristretta la cerchia entro cui è confinato il potere e l'oligarchia si logora per l’assurda eccessiva lotta alla ricerca di una ricchezza immediata; in ambedue i casi, si va sempre a finire nella rivoluzione. Quando questa scoppia, può sembrare che essa abbia origine da minime cause e da miseri capricci, ma invece è sempre il rapido risultato di gravi mali accumulati.

Platone continua affermando: “Poi viene la democrazia: la classe povera ha il sopravvento su' suoi oppositori, ne massacra una parte e manda in esilio l'altra; e dà al popolo una uguale parte di libertà e di potere. Ma anche la democrazia va a rovina per eccesso di... democrazia. Essa è basata sul principio che tutti hanno il medesimo diritto di ottenere uffici pubblici e di aver voce in capitolo. A prima vista questo principio ha tutto l'aspetto di un ordinamento ideale; ma diventa disastroso quando il popolo non è abbastanza preparato dalla cultura a scegliere i migliori capi e i mezzi più saggi.

Quanto al popolo, esso non ha autonomia intellettuale, e non fa che ripetere quello che passa per la testa ai capi; per poter accettare o respingere una dottrina, basta vederla esaltata o messa in ridicolo in una commedia popolare - queste parole si riferiscono ad Aristofane, le cui commedie attaccavano quasi ogni nuova idea - . Il governo della plebe è come un mare in burrasca, su cui il veliero dello Stato deve navigare; ogni opinione di retori fa gorgogliar le onde e cambiare direzione alla rotta. Il risultato d'una simile democrazia è un governo tirannico, oppure autocratico: la folla ama tanto l'adulazione, è tanto “ingorda di miele” che l'adulatore più scaltro e senza scrupoli, il quale si atteggi a “protettore del popolo”,  sale al potere supremo” – pensate alla storia di Roma, e considerate anche i tempi attuali…

Più Platone ci riflette, più si meraviglia della follia di lasciare che sia il popolo a scegliere gli amministratori della cosa pubblica, per non parlare poi di quegli strateghi di dubbia moralità, al servizio della ricchezza, che tirano fili oligarchici dietro la scena democratica. Platone si lamenta di questo: “che mentre nelle cose semplici - come, ad esempio fabbricare scarpe - noi crediamo la sola persona del mestiere capace di servire al nostro scopo, in politica presumiamo, invece, che tutti coloro i quali sanno conquistarsi i voti, sappiano anche amministrare uno Stato o una città. Quando siamo ammalati chiamiamo un medico provetto, che dia garanzia di una preparazione specifica e di competenza tecnica. Non ci fidiamo del medico più bello o più eloquente; e quando tutto lo Stato è malato, perchè non dovremo affidarne la guida agli uomini più saggi e migliori?


2) …ha origine dalla Formazione Interiore

 Per Platone il problema della filosofia politica è quello di scoprire un metodo per bandire l'incompetenza e la disonestà dai pubblici uffici e scegliere e preparare i Migliori a proteggere il bene pubblico.
Ma dietro questi problemi politici vi è la natura dell'uomo: “per capir la politica, dobbiamo, purtroppo, capire la psicologia. Come l'uomo, così lo Stato; i governi variano secondo i caratteri degli uomini...; gli Stati sono fatti delle nature umane che vi si trovano; lo Stato è quello che è, perché i cittadini sono quello che sono.
Non dobbiamo, dunque, aspettarci uno Stato migliore, finché non abbiamo uomini migliori: fino a quel giorno, tutti i possibili cambiamenti lasceranno immutate le cose essenziali. È pur graziosa la gente! - sempre sotto cura, accresce e complica i propri mali, spera di guarire con un certo farmaco, suggerito da qualcuno, e non migliora mai, ma peggiora... Pare stia giocando, fa pratica di legislazione, e s'immagina che, promuovendo riforme, metterà fine alle disonestà e alle furfanterie dell'umanità... e non s'accorge che, in realtà, sta tagliando le teste di un'idra”

La condotta umana, dice Platone, nasce da tre sorgenti principali: desiderio, emozione e sapere. Desiderio, appetito, impulso, istinto fanno parte della prima sorgente; emozione, spirito, ambizione e coraggio formano la seconda; sapere, pensiero, intelletto e ragione formano la terza. Il desiderio ha sede nella carne; è un serbatoio rigurgitante di energia, fondamentalmente sessuale. L'emozione ha sede nel cuore; è la ripercussione dell'esperienza e del desiderio. Il sapere ha sede nel cervello; esso giustifica il desiderio ma può anche divenire guida della psiche.

Tutte queste forze e qualità risiedono in tutti gli uomini, ma in grado diverso. Ognuno non è che l'incarnazione del desiderio: sono anime inquiete e ingorde, tutte assorbite da interessi e lotte materiali, ardenti e bramosi di ricchezze e di apparenza. Sono questi gli uomini che dominano e manipolano l'industria. “Ma ve ne sono altri, templi di sentimento e coraggiosi, i quali non considerano molto ciò per cui essi lottano, né la vittoria in sé e per sé; sono pugnaci, più che conquistatori; la loro fierezza consiste nel potere più che nel possesso, la loro gioia è sul campo di battaglia e non sul mercato, sono gli uomini che costituiscono gli eserciti e le armate del mondo. E finalmente pochi uomini trovano la propria gioia nella meditazione e nell'intelletto; non anelano ai beni materiali, né alla vittoria, ma al sapere; essi lasciano il mercato e il campo di battaglia, per chiudersi nella calma chiarezza del pensiero solitario: la loro volontà è una luce più che un fuoco; mirano non al potere, ma alla Verità. Tali sono le creature della saggezza, che restano appartate, dimenticate dal mondo”.

L'azione individuale per essere produttiva, pretende che il desiderio, pur essendo scaldato dall'emozione, sia guidato dal sapere: così, nello Stato Perfetto, le forze industriali produrrebbero, ma non governerebbero; le forze militari proteggerebbero, ma non governerebbero; le forze del sapere, della scienza e della filosofia sarebbero nutrite e protette, e governerebbero.
Al contrario, la plebe, o massa, non guidata dal sapere, è una moltitudine disordinata, per i suoi confusi desideri: il popolo ha bisogno della guida di filosofi, come i desideri hanno bisogno di essere illuminati dal sapere: “La rovina incomincia quando il mercante, innalzato dalla ricchezza, sale al potere”; oppure quando il generale usa il proprio esercito per stabilire una dittatura militare. Il produttore è al suo posto nel campo economico, il guerriero in battaglia: sono ambedue fuori di posto nei pubblici uffici. Poiché la politica è veramente una scienza e un'arte, bisogna aver vissuto per essa ed esservi preparati da lungo tempo.

Solo un Re Filosofo è capace di reggere una nazione: “Fin che i filosofi non sono re, oppure, fin che i re e i principi di questo mondo non hanno lo spirito e la forza della filosofia, e la saggezza e il potere politico non risiedono nel medesimo individuo... le città, e neppure la razza umana cesseranno dall'essere malate”.

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